mercoledì 22 settembre 2010

Il periodo Kamakura 鎌倉時代 (1185-1333)


La conquista del potere politico del Giappone da parte di Minamoto no Yoritomo, in seguito alla vittoria riportata sul clan Taira nella guerra Genpei (1180-1185), segnò il definitivo passaggio del Giappone al feudalesimo. Infatti, a partire dal 1185, si assiste alla nascita di un nuovo centro di potere, alternativo alla Corte imperiale e con un assetto politico propriamente feudale. Si tratta del cosiddetto "bakufu di Kamakura", un governo militare fondato sullo stretto rapporto signore-vassallo che intercorreva tra il clan Minamoto e alcune famiglie del Kanto, che nella precedente campagna militare contro i Taira avevano aderito alla causa di Yoritomo: in cambio della loro fedeltà incondizionata e personale ai Minamoto, queste famiglie ottenevano incarichi amministrativi (jito) e militari (shugo) in varie tenute del Paese, nonchè il diritto di proprietà sulle terre confiscate ai nemici e ai cavalieri di dubbia lealtà.

In questo modo, Yoritomo poteva contare, oltre che su una forte base economica personale, anche su una vasta rete di controllo, fatta di uomini fidati (i gokenin) sparsi per tutto il Giappone. Per di più, egli godeva di un vasto potere politico, garantito e legittimato dalla stessa Corte imperiale di Kyoto, la quale riconosceva il nuovo governo di Kamakura, conferendo a Yoritomo la carica di sotsuibushi (capo della polizia militare) nel 1185, quelle di soshugo (capo dei governatori militari) e di sojito (capo degli intendenti terrieri militari) nel 1190 e, infine, quella in assoluto più alta di shogun nel 1192. Allo stesso tempo, Yoritomo e i suoi sucessori si impegnavano a riconoscere l'istituzione imperiale quale unica fonte di legittimazione del potere politico e a convivere con essa in una sorta di "governo duale", anche se, di fatto, la Corte di Kyoto andava via via perdendo competenze e proprietà terriere a favore del governo militare instaurato da Yoritomo.

Tuttavia, il bakufu di Kamakura, sebbene all'inizio si fosse rilevato piuttosto efficace, fu messo a dura prova da due grandi crisi che lo colpirono durante il suo secolo e mezzo di vita e che ne segnarono, sia pure indirettamente, la fine. La prima di queste crisi fu determinata dalla scomparsa della stirpe degli shogun Minamoto. Infatti, dopo la morte di Yoritomo nel 1199, i discendenti diretti di quest'ultimo non riuscirono a gestirne l'eredità e vennero presto rimpiazzati dagli Hojo. Questa famaiglia, in passato tutrice di Yoritomo, riuscì quindi a subentrare nel governo del Giappone sotto la guida di Hojo Masako (1157-1225), moglie di Yoritomo, e di suo padre Hojo Tokimasa (1138-1215), il quale nel 1203 assunse per primo la carica di shikken, ovvero di reggente dello shogun. Da questo momento, gli Hojo riuscirono a governre da dietro le quinte il bakufu di Kamakura, mentre la carica di shogun finì per assumere un valore puramente simbolico.

L'altra grande crisi di questo periodo era invece rappresentata da una grave minaccia esterna: i tentativi di invasione dei mongoli del 1274 e del 1281. Infatti, mentre il Giappone stava vivendo un periodo di pace e di stabilità interna sotto la guida degli Hojo, nel continente asiatico, sul finire del XIII secolo, i capi mongoli stavano dando vita al più esteso impero della storia mondiale. Dopo aver conquistato la Corea e soffocato gli ultimi focolai di resistenza in Cina, l'imperatore mongolo Qubilay Qan, vista respinta dal bakufu di Kamakura la richiesta di sottomissione alla sua autorità, inviò in Giappone una spedizione navale che raggiunse le coste settentrionali del Kyushu nel 1274. Tuttavia, prima ancora che vi fossero scontri decisivi, un tifone provocò igenti danni alla flotta nemica costringendola alla ritirata. Un cosa analoga avvenne nel 1281: una nuova invasione mongola, ancora più poderosa della prima, fu vanificata ancora una volta da un tifone improvviso.

Sebbene la minaccia di un'occupazione straniera fosse stata sventata dal "provvidenziale" tifone, soprannominato non a caso kamikaze (vento divino), gli ingenti preparativi di difesa per fronteggiare le due invasioni mongole (ed eventuali attacchi successivi) avevano inciso molto sulle finanze del bakufu, così come sulle energie umane dei giapponesi. Per di più, la guerra contro gli inavsori non aveva lasciato ai vincitori alcun bottino da spartire. Tutto ciò fomentò il forte malcontento di quanti avevano affrontato spese, sacrifici e perdite ingenti per la difesa del Paese, senza ricevere tra l'atro risarcimenti dal bakufu, che si era così dimostrato impotente e inefficiente. Questo clima di generale ostilità verso gli Hojo fu alimentato a sua volta dal risentimeno che molti cavalieri proviciali nutrivano verso il lungo dominio di questa famiglia; esso avrebbe quindi determinato la fine del bakufu di Kamakura e, al contempo, l'inizio di uno nuovo shogunato con sede a Muromachi e posto sotto la leadership di un nuovo clan emergente: quello degli Ashikaga.

martedì 22 settembre 2009

Tensho ken-O shonen shisetsu 天正遣欧少年使節


Durante la seconda metà del XVI secolo, il Giappone stava vivendo una trasformazione epocale: la divisione territoriale e l'anarchia militare che lo caratterizzavano fin dalla guerra Onin (1447-1477) stavano lasciando il posto alla riappacificazione e alla riunificazione del Paese sotto un unico legittimo centro di potere. Il primo fautore di questo processo fu il signore della guerra (daimyo) Oda Nobunaga (1534-1582) che già dal 1568, anno in cui fece il suo ingresso trionfale a Kyoto, era di fatto l'uomo più potente del Giappone. Allo scopo di estendere il suo potere e limitare al contempo quello dei suoi nemici, Nobunaga, tra l'altro, protesse e favorì la Compagnia di Gesù e la recente Cristianità giapponese da lei promossa. I gesuiti, presenti nell'arcipelago fin dal 1549 a fianco dei mercanti portoghesi, ai quali era "riservato" il commercio in Giappone (in base al Trattato di Tordesillas del 1494), detenevano inoltre una sorta di monopolio per la conversione cattolica di quel paese. E' in un tale clima che ebbe origine un fatto oggi poco conosciuto: mi riferisco alla prima missione diplomatica giapponese in Europa; in questo articolo ne illustrerò sinteticamente le cause, i protagonisti, e lo svolgimento complessivo.

Innanzi tutto, questa ambasceria fu voluta e organizzata dal gesuita italiano Alessandro Valignano (1539-1606), presente in Giappone fin dal 1579 in qualità di Visitatore delle Indie Orientali, al fine di raggiungere scopi ben precisi. In primo luogo, il missionario voleva inviare legati giapponesi in Europa per porre fine al diffuso scetticismo dei giapponesi, i quali credevano che i gesuiti affrontassero grandi insidie per arrivare in un paese povero, pericoloso e potenzialmente ostile come il loro, principalmente per sfuggire a una realtà europea che doveva essere perfino peggiore; il Valignano intendeva perciò far toccare con mano ai giapponesi lo splendore del Vecchio Continente e dimostrare loro che esso non aveva nulla da invidiare (anzi!) al Giappone. In secondo luogo, la delegazione doveva alzare le quotazioni dei gesuiti presso il papa, ponendo davanti agli occhi del pontefice dei nuovi convertiti provenienti da terre lontane proprio in un periodo in cui buona parte dell'Europa era passata alla causa protestante. Di conseguenza, il Valignano si aspettava dalla corte romana sostanziali aiuti finanziari per le missioni gesuitiche e, cosa ancora più importante, un breve papale che rinnovasse il monopolio della Compagnia in Giappone.

L'ambasceria è anche conosciuta in giapponese come Tensho shonen shisetsu; essa deve il suo nome al periodo in cui ebbe luogo (l'era Tensho, appunto: tra il 1573 e il 1591) e alla giovane età degli "ambasciatori" (shonen shisetsu) o alla loro destinazione, l'Europa (ken-O shisetsu). In particolare, i legati designati per questa missione diplomatica erano quattro giovani nobili del Kyushu, inviati come rappresentanti di alcuni signori locali noti per essere grandi protettori dei cristiani: i due inviati ufficiali erano Ito Mancio (in rappresentanza di Otomo Yoshishige Sorin, daimyo di Bungo) e Chijiwa Michele (in rappresentazanza del daimyo di Omura, Sumitada, e di quello di Harima, Harunobu); a loro erano poi stati affiancati Hara Martino e Nakaura Giuliano. Questi legati, tutti molto giovani (Michele Chijiwa, il più anziano, aveva quindici anni il giorno della partenza) salparono da Nagasaki il 20 febbraio 1582, accompagnati dallo stesso Valignano (che tuttavia si sarebbe fermato a Goa per ricoprirvi il ruolo di Provinciale dell'India), dal padre Diego Mesquita (che sarà il loro mentore per tutto il viaggio), dal padre Nuno Rodrigues, da fratel Jorge Loyola e da pochi altri.

Dopo un viaggio lungo, faticoso e non privo di insidie, il gruppo giunse finalmente a Lisbona nell'agosto 1584. Nei primi giorni di quella "avventura Europea", che non a caso doveva toccare esclusivamente la parte cattolica del Continente (Portogallo, Spagna e stati italiani), tutto si svolse secondo i piani del Valignano: i nobili giapponesi vennero "guidati" soprattutto in chiese, santuari, seminari e in visite a prelati, così da poter portare in Giappone una testimonianza edificante della Cristianità occidentale. Tuttavia, la missione diplomatica ebbe subito una svolta non prevista dal Visitatore: non appena fu al corrente del loro arrivo, Papa Gregorio XIII decise di trattare e considerare i quattro giovani come veri e propri "ambasciatori", accordando loro onori, come il Concistoro pubblico, riservati di solito ai diplomatici più illustri e accreditati. L'esempio del Papa fu naturalmente seguito dagli altri sovrani, Filippo II in testa, che fecero a gara nel primeggiare in dimostrazioni di onori. A ciò si aggiunsero poi la curiosità e l'entusiasmo popolare per questi "strani" personaggi il cui solo aspetto (per non parlare dell'atteggiamento, dei doni e delle abitudini) non poteva che suscitare l'interesse generale.

Dopo essere stati quindi ricevuti festosamente nell principali corti dell'Europa mediterranea, specialmete quelle italiane, i quattro nobili giapponesi intrapresero il 13 aprile 1586 il lungo viaggio di ritorno: dopo una sosta altrettanto interminabile a Goa dove li attendeva il Valignano, giunsero insieme a lui a Nagasaki solo nel 1590. Nel frattempo, la situazione nell'arcipelago era notevolmente cambiata per la minoranza cattolica: morto Nobunaga, il nuovo signore del Giappone, Toyotomi Hideyoshi (1536-1598), inizialmente favorevole alla Compagnia, aveva finito per guardarla con sospetto, tanto da emanare contro di essa un editto di espulsione in cinque punti (25 luglio 1587); la situazione per i gesuiti era poi aggravata dalla fine del loro monopolio, infranto dall'arrivo degli ordini religiosi legati alla corona spagnola (francescani e domenicani), in seguito alla riunificazione di quest'ultima con quella portoghese operata da Filippo II; per di più, gli scontri dei gesuiti con i francescani e i domenicani sul metodo di evangelizzazione aveva irritato ulteriormente i giapponesi. Non stupisce quindi che l'ambasceria non avesse alla fine raggiunto l'obbiettivo tanto sperato dal Valignano: la testimonianza dei giovani ambasciatori non ebbe praticamene alcuna rilevanza in Giappone. In compenso però, la missione diplomatica aveva portato a un esito insperato e inatteso: aveva fatto conoscere all'Europa, e in particolare all'Italia, un mondo fino ad allora considerato dai più solo come il mitico Cipangu di Marco Polo.

venerdì 5 dicembre 2008

Taira Kiyomori 平 清盛


Taira no Kiyomori (1118-1181) è un noto samurai del XII secolo, che negli ultimi anni del periodo Heian (794-1185) dominò la scena politica giapponese alla guida di un potente clan militare dell'epoca, i Taira. Suo padre Tadamori (1096-1153) aveva servito la Corte imperiale sottomettendo nel 1129 i pirati delle coste sud orientali; egli aveva inoltre permesso l'ascesa dei Taira nella Capitale a partire da un curioso incidente: mentre prestava servizio di guardia a palazzo, arrestò un vecchio lampionaio che aveva allarmato l'Imperatore; così facendo, Tadamori si era ingraziato quest'ultimo che gli donò la sua concubina preferita come segno di riconoscenza per averlo tranquillizzato. Dall'unione con la dama nacque Kiyomori, il quale, una volta adulto, si sarebbe vantato di avere sangue imperiale nelle vene.

In seguito alla morte di Tadamori, avvenuta nel 1153, Kiyomori gli successe nella guida del clan e si adoperò a rafforzare ulteriormente il potere dei Taira. A tale scopo, approfittò dei disordini provocati da alcune sette buddhiste, come la Tendai, le cui schiere di monaci-guerrieri (sohei), armati di naginata, minacciavano la Capitale. Si trattava in pratica di congregazioni monastiche che, divenute estremamente potenti attraverso l'acquisizione di proprietà private (shoen), erano in continua lotta tra loro per incrementare terre e prestigio, non esitando a far sentire la loro forza religiosa e militare alla stessa Corte. Per propiziarsi il favore dell'Imperatore, Kiyomori pensò bene quindi di intervenire contro di loro: nel 1164, attaccò dei monaci che stavano causando disordini e colpì con una freccia il grande reliquario mobile che stavano trasportando. A questo si aggiunsero altri assalti a istituzioni religiose (come il Todaji di Nara) che vennero da lui distrutte e saccheggiate. Con un Tale ricorso al dispotismo e alla violenza Kiyomori poté ricevere rispetto e cariche, nonché la possibilità di occuparsi della politica interna dell'Imperatore e del governo.In questo modo, Kiyomori entrò però in contrasto con la famiglia Fujiwara (allora piuttosto influente a Corte) e col clan militare dei Minamoto, che la sosteneva. L'opposizione politica finì per sfociare, nel 1156, nella guerra civile nota come Hogen no ran, cioè rivolta dell'era Hogen (1156-1158), nata da una disputa per la successione tra l'Imperatore in ritiro Sutoku e l'Imperatore regnante Go Shirakawa. Fu il primo scontro tra i Taira e i Mianmoto, rispettivamente sostenitori di Shirakawa e di Sutoku; alla fine, Kiyomori ne uscì vincitore, grazie in particolare all'appoggio di Yoshitomo, un membro di spicco dei Mianamoto che era passato dalla sua parte. Tuttavia, Yoshitomo, in seguito alla morte di suo padre e di suo fratello, combattenti nei ranghi opposti, non poté fare a meno di seguire la norma morale secondo cui "un uomo non può vivere sotto lo stesso tetto degli uccisori di suo padre": nel 1159, guidò quindi i Minamoto e i Fujiwara superstiti contro le truppe dei Taira radunate nella capitale (Rivolta Heiji), ma venne sconfitto e ucciso nel 1160. Seguirono poi molte esecuzioni capitali che decimarono il clan Minamoto, anche se Kiyomori, in contrasto con la sua spietatezza e con le consuetudini dell'epoca, risparmiò l'intera prole di Yoshitomo, probabilmente spinto dalle suppliche di una concubina del ribelle, Tokiwa.

Uscito vittorioso dalle rivolta Hogen e da quella Heiji, Kiyomori esercitò sulla corte un dominio incontrastato per circa un ventennio detto periodo Rokuhara (1160-1180), che prende il nome dall'omonima residenza, sede del quartier generale dei Taira nella Capitale. In questo periodo, i Taira rimpiazzarono i Fujiwara nel ruolo di reggenti imperiali, occupando la gerarchia di Corte e facendosi attribuire cariche e terre nelle province. Come avevano fatto i Fujiwara prima di lui, Kiyomori volle stabilire uno stretto legame con la dinastia imperiale attraverso il matrimonio politico, facendo sposare per esempio sua figlia a un membro della casa regnante nella speranza che nascesse un imperatore Taira. Così, nel 1180 pose sul trono il nipotino di soli due anni Antoku (1178-1185). Ma, diversamente dai Fujiwara, i Taira non erano una famiglia dell'aristocrazia civile (i kuge) dedita allo sfarzo e al cerimoniale di Corte, ma facevano parte dell'aristocrazia guerriera provinciale (i buke); erano insomma un clan di samurai, che fondava il suo potere sull'uso della forza e sul rispetto della "Via del Cavallo e dell'Arco", una sorta di codice etico morale del guerriero.

Tuttavia, insediandosi a Heianko e formando a tutti gli effetti un nuovo gruppo di cortigiani, Kiyomori finì per perdere il sostegno militare delle province e si allontanò dalla tradizione marziale delle campagne; inoltre, il dispotismo cui faceva ricorso per difendere la posizione raggiunta a Corte, suscitò il malcontento generale, anche tra coloro che erano stati inizialmente suoi alleati. Fu quindi facile per Minamoto no Yoritomo (1147-1199), uno dei figli di Yoshitomo scampati alla morte dopo la rivolta Heiji, sostenere la causa del principe ribelle Mochihito, e divenire il capo di una vasta coalizione samurai anti-Taira che guidò contro Kiyomori dalle province orientali. Scoppiò così la guerra Genpei (1180-1185), conclusasi con la cacciata dei Taira dalla Capitale e la loro distruzione nella battaglia navale di Dannoura (tra gli altri vi perse la vita l'imperatore bambino Antoku). Tramontava così per sempre il clan di Kiyomori, il quale morì di febbre nel 1181 a solo un anno dallo scoppio del conflitto.

venerdì 24 ottobre 2008

Il mondo letterario del Genji Monogatari 源氏物語

Agli inizi dell' XI secolo, e precisamente attorno all'anno 1004, la nobile Murasaki Shikibu (973-1014?) scrisse il Genji Monogatari (La storia di Genji), considerato il massimo capolavoro della letteratura giapponese e il primo romanzo della letteratura mondiale. Quest'opera trova il suo contesto storico-culturale nella corte imperiale del periodo Heian (794-1185) e fa parte di una ricca e pregevole produzione letteraria e artistica che ruota in modo pressoché esclusivo attorno all'aristocrazia civile (i kuge) del tempo. Allo stesso tempo, il Genji Monogatari ci offre un quadro vivace e accurato della vita sociale e privata della nobiltà di corte, trascurando, tuttavia, tutto ciò che avveniva fuori dal mondo culturale aristocratico della Capitale, un mondo tanto colto e raffinato quanto elitario e circoscritto.

Le espressioni culturali più elevate del periodo si ebbero, infatti, all'interno del ridotto gruppo di nobili che componeva la società di corte di Heiankyo e viveva nel palazzo imperiale o nelle vicine residenze dell'aristocrazia. In questa èlite creativa, dove la cura per l'abbigliamento, per l'etichetta e per le arti determinava lo status e la reputazione di un individuo, le donne, ormai escluse dall'esercizio del potere politico, svolgevano un ruolo culturale rilevante. Infatti, secondo la divisione dei ruoli basata sulla differenza di genere, una delle originali concezioni del periodo Heian, mentre gli uomini erano assorbiti dagli impegni politici, l'ingegno femminile poteva rivolgersi alla scrittura e dominare così il mondo letterario, dando alla luce i primi capolavori in kana (ovvero in giapponese).

Non a caso, numerosi scritti di questo periodo, in genere nikki (diari) o monogatari (racconti, lunghi o brevi) furono scritti dalle dame di corte, tra le quali spicca, appunto, Murasaki Shikibu. Tuttavia, dell'autrice del Genji Monogarari sappiamo ben poco. Persino il suo nome è incerto: fu chiamata Shikibu perché figlia di un cortigiano di basso grado del Ministero dei Riti (shikibu), appartenente a un ramo minore dei Fujiwara. Il nome Murasaki, che significa "porpora", deriva invece da una delle protagoniste del romanzo, Murasaki no Ue. Sposatasi con un Fujiwara nel 999 ma rimasta vedova due anni dopo, Shikibu entrò a corte come dama di compagnia di Shoshi, una delle mogli dell'Imperatore Ichijo; si trovò così al centro di un brillante gruppo di donne appassionate di letteratura. In questo ambiente di dame esisteva naturalmente un'accesa rivalità che si manifestava nei frequenti intrighi politici di corte, in amore e nello sfoggio delle proprie abilità letterarie.

In questo contesto, Shikibu compose, nel primo decennio dell' XI secolo il Genji Monogatari, il suo capolavoro. L'opera, episodica e complessa, con un gran numero di personaggi, è divisa in 54 libri che narrano le vicende di Genji, un principe immaginario, e dei suoi discendenti. La storia è strutturata in modo tale che ciascun episodio che la compone possa essere goduto separatamente, pur facendo chiaramente parte di un tutto più grande. I primi due terzi descrivono la giovinezza e la maturità di Genji, il "principe splendente" della corte di Heian. Il resto, invece, descrive il mondo dopo la sua morte. Genji rappresenta il cortigiano ideale - figlio di un imperatore, musicista raffinato, poeta, pittore e ballerino- ma è soprattutto un grande seduttore, che vive molteplici storie d'amore, alcune fuggevoli e superficiali, altre durevoli profonde e sofferte, ma in ciascuna di queste storie dimostra quel tatto e quell'eleganza che si confanno all'ambiente di Corte.

Tuttavia, Shikibu Murasaki non si limita a fare il resoconto di una lunga serie di amori, o a descrivere l'aspetto superficiale della vita di Corte, ma offre anche un'accurata analisi psicologica dei personaggi che popolano il suo romanzo. Ma il Genji Monogatari è ancora più significativo se si pensa che costituisce il manifesto dei valori culturali dell'aristocrazia di Heian, valori esemplificati dalla stessa figura del principe Genji. Uno di questi è il miyabi, sorta di ideale estetico dell'eleganza, della raffinatezza e di quella cura nei modi, nelle parole e nei sentimenti volta a eliminare ogni grossolaneità e rozzezza. Un'altro ideale estetico che troviamo nell'opera di Shikibu è, poi, il mono no aware (letteralmente, tristezza delle cose), ovvero un senso di ansietà che nasce dalla consapevolezza della transitorietà e della precarietà di ogni cosa terrena. Tale percezione, di chiara matrice buddhista, divenne predominante nella fase conclusiva del periodo Heian (e soprattutto nel successivo periodo Kamakura), ma la troviamo già nel Genji Monogatari nel quale, attraverso la ricorrente metafora della fioritura dei ciliegi o la stessa immagine del protagonista, esprime l'dea che il culmine della vitalità e della bellezza coincida con l'inizio del suo decadimento e del suo declino.

martedì 19 agosto 2008

Il periodo Heian 平安時代 (794-1185)3

Durante la seconda metà del XII secolo, in Giappone si concretizzò il processo di trasferimento del potere dalla Corte e dall'aristocrazia civile (i kuge) alla classe militare, o samuraica, forgiatasi attorno alle grandi casate guerriere (i buke) che avevano consolidato potere nelle province. Discendenti dai rami collaterali di alcune prestigiose famiglie della Capitale o della stessa dinastia imperiale, i buke fecero sentire il loro peso politico e militare nel momento in cui vennero coinvolti nelle dispute per la successione imperiale; da una di queste dispute era infatti scoppiata una guerra civile nota come Hogen no ran, cioè rivolta dell'era Hogen (1156-1158), che vide contrapporsi sui campi di battaglia due clan militari delle province rivali, i Taira e i Minamoto, rispettivamente sostenitori dell'Imperatore Go Shirakawa e dell'Imperatore in ritiro Sutoku. I primi (noti anche come Heishi o Heike) discendevano dal figlio dell'Imperatore Kanmu e avevano stabilito un potere personale nelle regioni del Mare Interno, a ovest, mentre l'altro clan, quello dei Minamoto (o Genji), creato nell'814 dall'Imperatore Saga, aveva la propria sede nella regione del Kanto, a est.

I Taira, guidati dal loro leader Kiyomori (1118-1181), vinsero la guerra civile, sconfiggendo nel 1156 i Minamoto, che intanto erano sconvolti da gravi divisioni interne. Inoltre, dopo aver sventato una rivolta scoppiata nel 1159 e cappeggiata dai Minamoto superstiti e dalla famiglia Fujiwara (rivolta Heiji), Kiyomori impose il predominio del suo clan per un ventennio (1160-1180), che prende il nome di periodo Rokuhara. In questi anni, Kiyomori si stabilì a Heian dove sistemò se stesso e i membri della sua famiglia in alte cariche di Corte, sposò la figlia dell'imperatore e, nel 1180, fece salire al trono imperiale il suo nipote di soli due anni, Antoku (1178-1185). In questo modo, egli stabilì un controllo diretto sulla Corte, praticamente con gli stessi metodi usati dai Fujiwara nei secoli precedenti. Kiyomori, tuttavia, non si preoccupò di consolidare la sua posizione nei confronti degli altri clan guerrieri di provincia, appoggiandosi piuttosto alle tradizionali forme di potere; ma così facendo, le potenti famiglie guerriere non videro più in lui un'autorità capace e desiderosa di proteggere i loro interessi nelle campagne; a ciò si aggiunse il fatto che Kiyomori, a causa della sua violenza e del suo dispotismo, si rese inviso a molti, perfino a quelli che lo avevano inizialmente sostenuto.

Fu così che si venne a costituire una coalizione anti-Taira guidata da Yoritomo (1147-1199), uno dei Minamoto risparmiati da Kiyomori dopo la repressione della rivolta Heiji. Divenuto adulto sotto la custodia di un ramo minore dei Taira, gli Hojo, nel 1180 Yoritomo sfidò infatti l'autorità di Kiyomori e della Corte di Heian, approfittando della richiesta di aiuto di un principe imperiale ribelle: presto, i leaders militari di tutto il paese si misero al suo fianco. Il vasto esercito di Yoritomo riuscì ad avere la meglio sulla coalizione guidata dai Taira: dopo la scomparsa di Kiyomori (1181), i Minamoto presero la Capitale nel 1183, vi scacciarono i Taira e annientarono quest'ultimi nella battaglia navale di Dannoura (1185); in quel celebre scontro, tra l'altro, trovarono la morte molti membri della Corte, compreso l'imperatore bambino Antoku. Da questo conflitto, noto col nome di Guerra Genpei (1180-1185), Minamoto Yoritomo uscì quindi come capo militare indiscusso di tutto il paese e questo fatto avrebbe avuto conseguenze tanto grandi da inaugurare un nuovo ordine e una nuova fase della storia giapponese.

sabato 9 agosto 2008

L'Ascesa della classe guerriera

Col periodo Heian (794-1185), si assiste al declino del governo imperiale, il quale perdeva progressivamente potere e controllo sul paese, non riuscendo mai a stabilire una totale ed efficace autorità sugli altri clan. Nel frattempo, l'effettivo potere politico ed economico era passato nelle mani dell'aristocrazia civile, capeggiata dalla più influente famiglia di Corte, i Fujiwara. Tuttavia, anche la nobiltà della Capitale aveva finito per perdere il controllo sulla vita politica ed economica del paese, rimanendo attaccata al raffinato cerimoniale di Corte e dedicando le proprie energie alle arti, alla poesia e ai piaceri piuttosto che all'amministrazione dello stato. Intanto, fuori scena, lontano dagli splendori artistici e letterari della Capitale dominata dai Fujiwara, altri protagonisti stavano lentamente gettando le basi di un Giappone del tutto nuovo.

Si trattava della nobiltà provinciale, composta da potenti leader locali e da aristocratici di basso rango, provenienti in genere da rami collaterali del clan Fujiwara o di quello imperiale, comprese le famiglie di stirpe imperiale "escluse", come i Tachibana, i Taira o i Minamoto; private del diritto di successione al trono secondo una pratica avviata sotto il regno dell'Imperatore Shomu (724-749), molte di queste famiglie avevano scelto di migliorare il proprio status trasferendosi nelle province, dove potevano acquistare alte cariche pubbliche o assumere la gestione diretta delle proprietà agricole. Oltre al prestigio sociale e al potere politico ed economico, questi "nobili di campagna", spesso disprezzati dalla nobiltà centrale, assunsero anche una notevole forza militare che avrebbe consentito loro di entrare da protagonisti nella competizione politica, dettando nuove regole e aspirando a posizioni sempre più elevate.

A determinare l'ascesa di questa aristocrazia militare delle province (i buke), a spese di quella civile della Capitale (i kuge), concorse un complessa serie di fattori economici, sociali e politici; uno di questi fu la separazione fra proprietà e possesso: in poche parole, gran parte della terra coltivabile, pur essendo proprietà privata (detta shoen) delle grandi famiglie aristocratiche di Corte o di istituzioni religiose, veniva da queste ultime lasciata in affidamento a famiglie dell'aristocrazia provinciale che avevano il compito di amministrarle in loro vece. In questo modo, mentre i legittimi proprietari, risiedenti spesso lontani dalle proprie tenute agricole, finivano per perdere il controllo diretto su di esse, e di conseguenza sui loro proventi, la nobiltà di provincia stava facendosi un'esperienza concreta di governo, consolidando sempre di più il proprio potere su terre e contadini. Inoltre, come ho già accennato sopra, i nobili provinciali riuscirono a dotarsi di una personale forza militare nel momento in cui, col venire meno della capacità del governo centrale di mantenere l'ordine nel paese, venne loro chiesto di organizzare corpi di combattenti per difendere le proprie terre dai briganti, da monaci guerrieri e da malviventi di ogni sorta.

Ciò favorì la nascita e lo sviluppo di eminenti figure di guerrieri provinciali appartenenti all'élite locale, dediti all'addestramento alle arti militari (come il tiro con l'arco o la scherma), e dotati di armature e cavalli. Fu tra il IX il X secolo che, in seguito al declino dell'esercito imperiale a coscrizione obbligatoria, rivelatosi poco efficace, la forza e il talento militare vennero esercitati in modo sempre più esclusivo da questi professionisti della guerra, inizialmente chiamati bushi (uomini d'armi) o saburai (coloro che servono), poi divenuti noti sotto il nome di samurai. Col tempo, i samurai, in origine militari e funzionari al servizio delle élites dominanti, assunsero il totale controllo sulle terre agricole, dato che la loro forza militare superò quella delle grandi famiglie dell'aristocrazia civile, che invece mostravano un profondo disprezzo per le armi e l'attività militare. Inoltre, essi forgiarono un'identità comune come classe distinta dal resto della società, dotandosi di norme comportamentali, coniando una cultura propria e, soprattutto, stabilendo al loro interno una rete di rapporti gerarchici.

domenica 13 luglio 2008

Tengu 天狗

I Tengu, sono alcuni dei più famosi bakemono (mostri) che popolano l'immaginario folclorico giapponese. Collocati solitamente all'interno di foreste, essi vengono descritti nei modi più diversi; un tengu può apparire nei miti come:
  1. Un normale essere umano.
  2. Un uomo dal naso enorme, o troppo lungo per essere reale.
  3. Un uomo alato e/o con un tozzo becco d'uccello.
  4. Un ibrido uomo/uccello con piedi e mani dotati di artigli.
  5. Un uccello vero e proprio (si tratterrebbe di un caso assai raro).
  6. Vari ibridi dati dalla combinazione delle forme sopra elencate.
A differenza di altre note creature immaginarie, come le kitsune (volpi) o i tanuki (procioni), i tengu non sono ne fastidiosi ne dannosi. Infatti, sebbene alcuni di loro siano decritti come imbroglioni o burloni, in genere, essi vengono visti come insegnanti saggi e degni di rispetto. Tuttavia le descrizioni di Tengu cambiano nel corso della storia, in quanto la personalità e l'obbiettivo di queste creature possono variare a seconda del periodo in cui agiscono. In ogni caso, diversamente che per le kitsune e per i tanuki, mutaforma assai caotici e imprevedibili, dietro l'azione di un tengu c'è sempre un proposito di ordine morale, anche se si tratta di inganni o distruzioni: in molti racconti li vediamo, infatti, vendicarsi di assassini oppure insegnare la pazienza agli impazienti e le buone maniere ai ladri.

Inoltre, i tengu venivano considerati i migliori insegnanti di arti marziali, tanto che diversi studenti si arrampicavano sulle montagne alla loro ricerca, nella speranza di imparare le arti magiche, o quelle di combattimento più raffinate. Specialmente l'abilità ninja era associata ai tengu, ma da loro si potevano imparare anche tecniche onorevoli, e alcuni valorosi guerrieri attribuivano, o vedevano attribuita, l'origine delle proprie abilità agli insegnamenti di un maestro tengu. Per esempio, tradizione vuole che il noto fratello di Minamoto Yoritomo, Minamoto Yoshitsune, eroe militare del XII secolo, abbia appreso l'arte della spada da bambino da un vecchio e saggio tengu incontrato nella foresta.

Per quanto riguarda le notizie sulle origini dei tengu, anch'esse cambiano nel tempo: talvolta queste creature sono il risultato della trasformazione di uomini, in genere preti buddhisti o shintioisti, che erano stati maledetti dai loro pari a causa di alcuni difetti; in altri casi, sono invece descritti come semidei, demoni o razze di mostri del tutto separate dagli umani. Le leggende che attestano quest'ultima versione parlano spesso di nidi di tengu, nascosti con grande cura sulle montagne più alte e riempiti di uova enormi. La femmina tengu viene raramente menzionata e talvolta appare così diversa dal maschio che i due sono facilmente confusi in due specie distinte.

Oltre che nel folklore popolare, la figura del tengu la troviamo anche nella mitologia religiosa. Per esempio, dalla cosmologia buddhista, il tengu appare come un demone di mentalità piuttosto semplice che ha un'unico scopo: sviare i fedeli dal loro cammino spirituale. Inoltre, specialmente in passato, erano molto diffusi veri e propri culti presso santuari dedicati ai tengu; altrettanto diffusa era la pratica di indossare una maschera tengu durante un pellegrinaggio religioso; tra l'altro, tale maschera veniva utilizzata nella tragedia del teatro No e tuttora la si può trovare spesso appesa alla parete di bar e ristoranti tipicamente giapponesi.

Testo liberamente tradotto ed elaborato dalla pagina web http://www.jh-author.com/tengu.htm.